Displace
ideazione Muta Imago

regia, spazio, luci Claudia Sorace

drammaturgia, suono Riccardo Fazi

direzione tecnica Maria Elena Fusacchia con l’aiuto di Luca Giovagnoli

voce off Speranza Franchi, Fabiana Gabanini

accompagnamento artistico e tecnico Luca Brinchi

training Glen Blackhall, Fabio Ghidoni

vestiti di scena Fiamma Benvignati

foto di scena Luigi Angelucci

assistente tecnico di scena Giulia Maria Carlotta Pastore

organizzazione Manuela Macaluso, Martina Merico, Maura Teofili
con Anna Basti, Chiara Caimmi, Valia La Rocca, Cristina Rocchetti

soprano Ilaria Galgani
produzione Muta Imago 2011

coproduzione Romaeuropa Festival 2011, Festival delle Colline Torinesi 2011, Focus on Art and Science in the Performing Arts

con il sostegno di Regione Lazio – Assessorato alla cultura, Spettacolo e Sport

in residenza presso L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, La Corte Ospitale – Teatro Herberia, Inteatro Polverigi, Città di Ebla

in collaborazione con Centrale Preneste, Kollatino Underground, Angelo Mai
Displace(v.tr.): muovere o spostare dalla posizione o dal luogo usuali,
in particolare, costringere qualcuno ad abbandonare la propria patria.
Un deserto. La crosta meteorizzata di un pianeta. Un luogo desolato, senza dimensioni né tempo.
In questo luogo una donna. Della donna la voce, e il canto.
Dietro di lei, nel buio, l’impressione di un movimento, l’aria mossa dal respiro di una materia enorme: appaiono frammenti di roccia, crateri, percorsi polverosi che si avvolgono su loro stessi per poi sprofondare di nuovo nell’ oscurità.
Il canto riempie l’aria e con esso la grande superficie che chiude lo spazio si mostra sempre di più, fino a dichiarare la sua vera natura. Un muro che è memoria e già rovina, che trattiene sulla sua superficie i segni di quello che è stato e che non è più, che potrebbe essere e non sarà. Un deposito di tempo materico che prende vita, respira, si dilata, batte.
Il canto diventa grido.
Il respiro diventa colpo.
Improvvisa, la rovina.
Intorno a noi, oggi, costruzioni e pensieri si trasformano rapidamente nei loro stessi resti, senza che nulla riesca a sostituirli.
Dal centro di questo sgretolamento abbiamo deciso di lanciare un urlo: un urlo per tutto quello che si è perso, un urlo per le strade che stiamo per intraprendere e per le distanze che dovremo percorrere. Un urlo che è anche canto, elegia; un urlo che cerca disperatamente di creare una sospensione, un oblio temporaneo di passato e futuro, uno spazio di riposo tra la memoria e l’attesa, un luogo che possa assomigliare alla felicità, alla possibilità. Un ultimo, disperato attacco di fronte alla rovina. Una rovina che accade, inevitabilmente, come da tempo era previsto. E che lascia davanti a sé solo la strada da percorrere, il rumore dei passi, le distanze del cammino, e i volti di tutte le persone che dovranno attraversarlo.

Displace è il senso che ci governa in questo momento. È la polvere che ci avvolge tutti e non rende chiaro nulla, né quello che abbiamo davvero, né quello che abbiamo perso per sempre. È la casa che non abbiamo più, o forse quella che non abbiamo mai avuto, il movimento e il cambiamento costante che caratterizzano le nostre vite. È la corsa di un’intera civiltà, la nostra, verso la propria inesorabile distruzione, è il nostro tentativo di collocarci all’interno di questo collasso. È il termine utilizzato in inglese per indicare i rifugiati che vengono “spostati”, sistemati più o meno coercitivamente in un luogo diverso da quello di origine: emigranti, rifugiati politici, esuli, clandestini.
Ma è anche e soprattutto la storia di una donna, un individuo sopravvissuto a un conflitto, la cui avventura riverbera fino a raccontare del destino di un’intera nazione. Sola, in scena, la donna si moltiplica e diventa popolo, la sua vicenda e il suo personale dolore risuonano nei corpi e nelle immagini di una guerra e di una terra dove non resta nulla se non rovine e macerie, fango e sudore. Come ne Le Troiane di Euripide, fonte principale del lavoro: Troia è ormai solo un mucchio di rovine e su Ecuba e le sue compagne incombe il trauma della perdita e dello sradicamento, in inglese, del displace che dà nome al nostro progetto. Donne che hanno perso tutto quello che avevano, che ora si trovano su una spiaggia deserta a lottare per rialzarsi in piedi.

Displace è la storia di una fuga, di una lotta, quindi di una possibile resurrezione: è il cammino, la strada da percorrere fino in fondo. Perché si possa comprendere se sia giusto lottare per mantenere il poco che resta, o se invece sia il caso di distruggerlo definitivamente, e dimenticare, perché dalle ceneri possano finalmente nascere possibilità nuove.

Displace è nato dopo due anni di lavoro su materiali scenici e tematici che hanno portato alla realizzazione di due performance: Displace # 1 La Rabbia Rossa (debutto ottobre 2010, RomaEuropa Festival, Roma) e Displace # 2 Rovine (debutto giugno 2011, Festival delle Colline Torinesi, Torino).
È una tragedia in tre atti, un racconto epico al cui interno tutti gli elementi trovano, per la prima volta, senso compiuto e unico.
Riccardo Fazi