Canti Guerrieri
musica di Claudio Monteverdi

regia Claudia Sorace
drammaturgia musicale Riccardo Fazi
con Annamaria Ajmone, Sara Leghissa
e la partecipazione di Isabella Giuliani, Giulio Segato, Cecilia Torossi, Guntram Wildpanner
direzione tecnica e video Maria Elena Fusacchia
aiuto regia Chiara Caimmi
esecuzione musicale Ensemble Arte Musica
direzione, clavicembalo  Francesco Cera
consulenza musicale Alessandro Taverna 
collaborazione alla drammaturgia Ilaria Mancia
organizzazione Martina Merico
costumi Fiamma Benvignati 
luci Gianni Staropoli 
conversazioni sull’immaginario  Michele di Stefano 
foto di scena Maria Elena Fusacchia

produzione Sagra Musicale Malatestiana, RomaEuropa Festival, Muta Imago 2017
in collaborazione con  Festival di Santarcangelo
con il sostegno di Mibact – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – Direzione Generale Spettacolo, Regione Lazio, Assessorato alle politiche culturali, spettacolo e sport
Su commissione della Sagra Malatestiana di Rimini, Muta Imago torna in scena con l’allestimento del ciclo dei Canti Guerrieri, prima parte dell’VIII libro dei Madrigali di Monteverdi. La compagnia romana decide di rispettare la sequenza dei brani della partitura originale senza intervenire su di essa, così da restituirne appieno la straordinaria contemporaneità e la vibrante retorica, permeata della gioia e della violenza dell’amore: quello primevo, carnale, misterioso e guerriero, che arriva all’improvviso e tutto sconvolge. Sulla scena, foresta pluviale che si trasforma in campo di battaglia, Muta Imago si confronta con due nomi della danza nazionale (Annamaria Ajmone e Sara Leghissa) oltre che con l’Ensemble Arte Musica. È in questo spazio prima chiuso e oscuro, poi aperto e schietto, che ci si prepara alla guerra o all’incontro amoroso; è qui che avviene il passaggio dalla polifonia al teatro musicale, la trasformazione dei madrigali nel dramma conclusivo del libretto, il Combattimento di Tancredi e Clorinda. Uno spazio liminale, al confine, dove le luci, la scena, le proiezioni video, fanno dei corpi dei protagonisti veri e propri paesaggi di tensione e desiderio.
Con i canti guerrieri tornate a relazionarvi per la seconda volta al teatro musicale. Questa volta ad essere terreno di indagine per la vostra pratica teatrale e la vostra estetica è Monteverdi. Che tipo di connessione si è creata tra Muta Imago e il suo repertorio musicale?
Effettivamente è già la terza volta che incontriamo il teatro musicale, dopo Hyperion di Bruno Maderna; (Sagra Musicale Malatestiana, 2015), e L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento di Vittorio Montalti (I Teatri di Reggio Emilia, 2016). Sono tre anni ormai che questi incontri accompagnano la nostra ricerca; in qualche modo sono anche arrivati a strutturarla e definirla in relazione a discipline come la danza che non avevamo mai incontrato prima, pur essendo stati sempre molto affascinati dal lavoro sul corpo e sul movimento.
Si è trattato d’incontri con tradizioni a noi precedentemente sconosciute: la Neue Musik degli anni ’50, la musica contemporanea odierna, i madrigali italiani secenteschi.
Ci siamo messi a servizio di queste opere. Le abbiamo ascoltate, ci siamo fatti attraversare, abbiamo cercato da una parte di comprenderle, in maniera quasi scientifica, dall’altra di capire invece cosa questi ascolti suscitavano in noi. Dove mi parla l’utopia di una musica che mezzo secolo fa sognava di cambiare il mondo? Cosa ritrovo dell’immaginazione dei nostri coetanei di cinquecento anni fa nel pensiero odierno sull’amore?

Come vi siete avvicinati al Libro Ottavo – Canti Guerrieri e quali sono stati i processi che hanno condotto alla definizione di quanto vediamo in scena?
Per quanto riguarda i Canti Guerrieri, da un punto di vista musicale siamo rimasti estremamente fedeli al materiale di Monteverdi: abbiamo deciso di rispettare l’esecuzione dei singoli brani nonché l’ordine in cui Monteverdi li ha messi nel suo Ottavo Libro dei Madrigali. I membri dell’Ensemble Arte Musica non interagiranno con i performer, il loro sarà uno spazio altro, che sovrasta la scena dal fondo: siamo rimasti affascinati dalle immagini delle feste secentesche, dove l’orchestra veniva nascosta dietro a un telo e la musica si diffondeva per le sale senza che se ne vedesse l’origine; ma allo stesso tempo siamo affezionati all’idea più contemporanea di rendere visibile la performatività dei musicisti nel momento dell’esecuzione.
Per quanto riguarda la messinscena, c’era invece un vuoto da colmare: il libro raccoglie infatti composizioni provenienti da diversi periodi, realizzate per ragioni diverse, che Monteverdi ha riunito in un’unica raccolta solo a posteriori: una specie di “best of”, diremmo oggi. L’unico brano che aveva una tradizione rappresentativa più definita è il famoso Combattimento di Tancredi e Clorinda, madrigale rappresentativo compreso nella raccolta, composto e rappresentato nel 1624 a Venezia a Palazzo Mocenigo per un carnevale. Erano, queste, occasioni molto più simili a feste, a happening, che a spettacoli veri e propri. Soprattutto per quanto riguarda i madrigali non si tratta di musica pensata e realizzata per essere messa in scena: nessuna tradizione, se non quella dell’immaginario amoroso dei testi che questi canti mettono in musica. Tutto ruota intorno al concetto di amore come guerra, dell’identificazione tra il combattimento amoroso (non tra pretendenti, ma tra innamorati) e quello guerresco; della seduzione come conquista, dell’amore come abbandono di uno stato di tranquillità per entrare in una dimensione di mistero e perdita di sé.
Abbiamo deciso di andare a fondo nello studio di cosa significano termini come seduzione e conquista nel linguaggio del corpo. Siamo partiti dallo studio del concetto di “mating” presente nel mondo animale, in particolare nel mondo degli uccelli: ovverosia i rituali del corpo e del movimento che gli animali, soprattutto i maschi, eseguono per attivare il desiderio nei confronti della femmina e convincerla della propria forza e sensualità. Da lì siamo passati all’analisi di come queste dinamiche vengono riprese da una serie di civiltà nomadi africane, come ad esempio quella dei Wodabee. Si è trattato di andare al cuore della questione: l’amore come spinta del desiderio, desiderio come esibizione di sé, amplesso come scambio e annullamento di identità. Il sacrificio del Combattimento per noi equivale al gesto di spogliarsi della propria armatura e andare nudi in quel pericoloso luogo sospeso a metà strada tra l’uno e l’altro, l’unico luogo dove può veramente avvenire un incontro d’amore. Abbiamo chiesto a Sara e Annamaria di far risuonare nel proprio corpo il corpo dell’altra, di assumere il corpo dell’altro su di sé: dal mating, che si costruisce intorno all’affermazione della propria identità, siamo arrivati a questa richiesta, creare un incontro tra corpi che non si declina nel toccarsi fuori da sé, ma nel farsi attraversare, nel portare il corpo dell’altro nel proprio, nell’ imitarlo, nell’ assumerlo.
Si è creato dunque un forte spostamento di visione che ha accostato alla musica “colta e cortese” di Monteverdi un immaginario selvaggio e inusuale, due mondi molto difficilmente associabili ad un primo impatto, ma che in realtà abbiamo scoperto avere molti elementi in comune.
Al centro dello spazio, la giungla, le selve “orride e spesse” che circondano la Gerusalemme del Tasso, il luogo del pericolo per eccellenza, dove la visione, come quella del Tasso (e del Tintoretto nel suo celeberrimo ritratto di Tancredi e Clorinda), si fa “luministica”: predominano i notturni, i crepuscoli, le “ombre miste d’una incerta luce” o tinte di “rossi vapor”, o “nere e folte”.

Per questo spettacolo avete collaborato anche con le danzatrici Annamaria Ajmone e Sara Leghissa. Perchè avete scelto proprio la danza e il movimento quale disciplina per la riscrittura scenica dell’opera di Monteverdi?
Il corpo è al centro di tutto: corpo come luogo del desiderio prima e dell’incontro poi.
Il corpo e il movimento, perché la danza, come dice Jean Luc Nancy nel suo Dehors la dance “incomincia ancor prima di essere sensibile” ed è proprio così che avviene l’innamoramento: un evento che incomincia prima della sensazione, prima del senso in generale.
Due corpi, quindi, incredibilmente diversi, che all’inizio presentano al mondo le loro caratteristiche specifiche, affermando la loro alterità reciproca: vicini nella loro lontananza. E che gradualmente invece si ripercuotono l’uno nell’altro, si attraversano, si scambiano passo, ritmo e immaginario.
Questo livello di mistero e sensualità risuona poi nelle note della musica di Monteverdi, così come una forte dose di ironia e gioco. Abbiamo cercato di ascoltare anche questa dimensione, di darle una forma scenica e di farla dialogare con quella principale. Una dimensione da favola della buonanotte, di gioco di sguardi, di racconto mitico che attraversa l’opera del Tasso, e che abbiamo fatto interpretare ai due bambini e ai due anziani che aprono e chiudono l’opera.
Da un punto di vista coreografico molto forte e ricco è stato l’incontro con le due interpreti, Anna Maria Ajmone e Sara Leghissa che si sono incaricate di sviluppare una performatività che desse corpo alle nostre visioni e con le quali abbiamo condiviso con gioia il percorso di definizione coreografica.

Canti guerrieri, oltre ai suoi impeti amorosi, ci racconta anche di un’altra storia, quella della formulazione di un certo teatro musicale che sarebbe divenuto da limitare a poco l’Opera per come la conosciamo oggi noi tutti. Nel vostro spettacolo raccontate anche questo passaggio. In che modo lo fate?
Con Il combattimento di Tancredi e Clorinda Monteverdi compone un madrigale rappresentativo: le voci soliste si staccano dal coro e cantano in successione per diventare veri e propri personaggi: Clorinda, guerriera araba, Tancredi, combattente cristiano, e il narratore. E’ un passaggio importantissimo nella storia della musica: primo passo verso una forma di espressione che porterà all’opera lirica per come la conosciamo oggi.
C’è uno scarto tra la prima e la seconda parte dello spettacolo che parla di questa evoluzione. C’è una prima parte, quella dei Madrigali, che è poetica, onirica, visionaria. E una seconda, quella del Combattimento, dove la poesia diventa prosa, per tornare a farsi poesia più vera, aderente al reale: le figure diventano persone, la frammentarietà diventa continuità, la scena scompare, restano solo le due protagoniste e lo sguardo degli spettatori. Paradossalmente il momento dell’apparizione del teatro è il momento più vero, sincero, diretto: una volta attraversata la foresta dei madrigali si entra nell’agone vero e proprio, nel momento del confronto, della sfida e, infine, dell’unione. Il passaggio dal canto al teatro è quello dal mistero allo svelamento, dalla maschera della differenza all’annullamento dell’amore.

Intervista a cura di Chiara Pirri