Tre Sorelle

 

di Anton Cechov
regia Claudia Sorace
drammaturgia / suono Riccardo Fazi
con Federica Dordei, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli
musiche originali eseguite dal vivo Lorenzo Tomio

disegno scene Paola Villani
luci e direzione tecnica Maria Elena Fusacchia
costumi Fiamma Benvignati
amministrazione, organizzazione e produzione
Grazia Sgueglia, Silvia Parlani, Valentina Bertolino

coproduzione Index Muta Imago, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, TPE/Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Amat & Teatri di Pesaro per Pesaro 2024 – Capitale Italiana della Cultura

foto di scena Luigi Angelucci, Gaia Adducchio
video Circa                                                                                                                                                                                                    immagine di locandina Table Rappers (2013) Tereza Zelenkova

Esiste almeno una cosa stabile su cui si fonda l’universo o non c’è nulla a cui aggrapparsi in questa catena di movimenti senza sosta nel quale tutto è intrappolato?
[Karl Schwarzschild, fisico teorico, 1914]

 

Se Olga, Maša e Irina fossero persone reali, non solo personaggi teatrali, sarebbero coetanee di Virginia Woolf e di sua sorella Vanessa. Forse una di loro, magari Maša, la sera, nel suo diario, scriverebbe parole simili a queste, che Virginia scrive nel suo tentativo di autobiografia del 1938:

«Fu così che Vanessa e io ci trovammo unite da una sorta di complicità segreta. In quel mondo pieno di uomini che andavano e venivano, in quella grande casa piena di stanze, io e lei formavamo un piccolo nucleo privato. Lo vedo come un piccolo punto focale, dove sono concentrate sensibilità, intensità e immediata comprensione reciproca, all’interno di quel grande, riecheggiante, guscio di conchiglia, che era la casa… Ogni giorno dovevamo lottare per tenerci strette cose che, di continuo, ci venivano sottratte o modificate.»

Abbiamo cercato in ogni parola delle Tre Sorelle dove risuonasse questa lotta, questo sforzo continuo di costruire un luogo inviolabile contro l’inevitabile scorrere degli eventi. Siamo partiti da loro tre, come indicato nel titolo, che non a caso le mette al centro di tutto: tre donne rimaste sole, nel vuoto pieno di echi di una casa lasciata da tutte e tutti.

Ogni cosa è già successa, o forse deve ancora accadere, tra le pareti di un edificio sospeso nello spazio-tempo, ultimo rifugio nel cuore di un buco nero, sospeso in un eterno presente bloccato tra un passato da ricordare con nostalgia e un futuro che si fa fatica a immaginare. Da lì, dalla stanza principale della casa, da questo “piccolo punto focale” inizia la rivoluzione di tre donne che lottano disperatamente per cercare un senso, per scavalcare l’orizzonte degli eventi e rientrare nel mondo, per rispondere a una semplice domanda, che non a caso apre il dramma di Cechov: «Perché ricordare?». Come delle maghe o delle medium le sorelle mettono in campo strategie di sopravvivenza, vengono attraversate dalle voci e dai corpi dei protagonisti maschili, rivisitano momenti, luoghi e situazioni del racconto. Utilizzano la materia prima della ripetizione, della metamorfosi, dell’ambiguità e della frammentazione, per tornare all’infinito a dare vita a figure che appartengono ormai alla loro vita, al loro passato come al loro futuro, in un esercizio continuo di possessione e di esorcismo allo stesso tempo.

La riscrittura del testo di Cechov mette al centro degli eventi le loro voci e i loro corpi, il portato rivoluzionario del loro pensiero, che, come afferma Versinin, “resterà sempre e un giorno avrà una grande influenza su chi verrà dopo di voi”.
La morte del padre, l’arrivo dei soldati, gli innamoramenti, le violenze, i discorsi sul tempo e sul futuro, il carnevale notturno, l’incendio: scene e momenti riaffiorano, tornano e ritornano, all’interno di un meccanismo drammaturgico che rappresenta l’ultimo esito della continua riflessione sul rapporto tra Tempo e identità che da anni è l’oggetto della ricerca di Muta Imago; una ricerca che negli ultimi anni ha preso forme diverse a seconda dei progetti attraversati (l’installazione con Sonora Desert del 2021, la performance con Ashes vincitore dei premi Ubu 2022 per miglior attore e miglior progetto sonoro) e che oggi cerca insenature di senso e sguardi diversi nelle domande che Cechov continua a porci da più di cento anni di distanza: “Ma che senso ha tutto questo?”.

Maša, Irina e Olga sono diverse dal resto del mondo perché rimangono aggrappate alle loro domande, sono come tre voci di una stessa donna che, all’infinito, attraversa tutto ciò che ha visto accadere e tutti i pensieri che si è trovata a pensare. Tutto muove dal loro sguardo, e da quello delle tre attrici protagoniste, appartenenti a tre generazioni diverse: Monica Piseddu, Arianna Pozzoli e Federica Dordei. Sono loro che danno vita e voce a questo racconto di fantasmi, sono i loro pensieri che hanno lentamente cambiato i nostri: della vasta messe di personaggi che affolla il dramma, in carne ed ossa, non è rimasto nessun altro. Le tre sorelle, come tre voci di una stessa donna che, all’infinito, attraversa tutto ciò che ha visto accadere e tutti i pensieri che si è trovata a pensare a partire da uno studio sul tratto specifico del teatro: l’immanenza, il partire dal presente assoluto per poter attraversare universi temporali diversi.
Nella nostra riscrittura, le parole pronunciate in scena saranno solo quelle di Cechov: è stato incredibile scoprire come tutto fosse già contenuto nel testo originale. Si è trattato piuttosto di togliere, di sottoporre il materiale a un lento procedimento alchemico di condensazione e colatura, che alla fine ha fatto restare l’essenziale. Quel che rimane, e che continuerà a riecheggiare nel tempo, è la voce di tre donne, viste come le future fondatrici di mondi futuri.
Anche Cechov, secondo noi, guardava a loro tre in questo modo.