Lev
ideazione: Glen Blackhall, Riccardo Fazi, Claudia Sorace, Massimo Troncanetti

regia: Claudia Sorace

drammaturgia e suono: Riccardo Fazi

realizzazione scena: Massimo Troncanetti

movimenti di scena: Fabio Ghidoni

direzione tecnica: Maria Elena Fusacchia
vestiti di scena: Fiamma Benvignati

registrazioni: canto Irene Petris

registrazioni: pianoforte Marco Guazzone

foto di scena: Luigi Angelucci, Laura Arlotti
con Glen Blackhall
produzione Muta Imago 2008

coproduzione Ztl-pro/Santasangre – Kollatino Underground; Kilowatt Festival

con il sostegno di Inteatro/Scenari Danza 2.0; Amat; Regione Marche – Assessorato alle Politiche Giovanili e Ministero per le Politiche Giovanili e Attività sportive

in collaborazione con AgoràKajSkenè (Aksè Crono 2008); Demetra – Produzioni Culturali
segnalato al Premio tuttoteatro.com Dante Cappelletti 2007

Un uomo apre gli occhi. Si guarda intorno. C’è poca luce, non riesce a capire dove si trova. Attraversa lo spazio, conta i passi, si avvicina a una parete, in cerca di rumori. Appoggia l’orecchio al muro. Le luci esplodono, le pareti diventano mucchi di fango e tra le grida dei compagni e i fischi delle pallottole l’uomo si getta a terra.
E riprende a ricordare.
Il mondo intorno è un recinto di forme indecifrabili. Le regole con cui si muove la realtà sono sconosciute. Lo spazio e il tempo non scorrono più su linee prevedibili. I ricordi arrivano all’improvviso, all’improvviso scompaiono.
Solo, deve combattere. Per rimettere insieme i pezzi. Per riuscire ad uscirne fuori.

Lev parte dal silenzio, ma è pieno di storie; sembra una perdita ma è una lotta, una ricerca, un’avventura. Ha la forma di un viaggio verso casa.
Abbiamo costruito uno spettacolo sullo sguardo di Lev Zasetsky, paziente di Alexander Lurja, celebre neuropsichiatra russo.
Abbiamo scoperto tra le pagine del suo diario una vertigine che parlava di noi e di come ci sentiamo ora.
Abbiamo lavorato un anno per cercare di avvicinarci il più possibile a un mistero che ci affascina. Un mistero che affiora, a tratti, che dura poco e presto scompare. Inafferrabile, si concede per attimi e chiede una costante attenzione perché non vada sprecato.
Lavoravamo e ci chiedevamo, in continuazione: cosa ha a che fare con noi la storia di un soldato russo che a seguito di una ferita alla testa, perde la capacità di ricordare? Perché vogliamo raccontarla, cosa di essa vogliamo trattenere e cosa dimenticare? Perché continuiamo a leggere e rileggere le pagine di un diario che parlano di una vita intera passata a combattere nel tentativo di ricostruire un’ identità?

Il diario di Lev inizia nel 1943, con questa frase:
La gente pensa in grande. Il pensiero si solleva, oltre le nostre teste, immagina palazzi sempre più alti, aerei sempre più veloci, comunicazioni sempre più immediate. La gente parla del cosmo, e degli spazi cosmici. E la nostra terra è una piccolissima particella di questo cosmo infinito. Ma la gente non pensa alla terra, pensa e sogna voli sui pianeti. La gente considera di ordinaria amministrazione il volo delle pallottole, dei proiettili, delle bombe che si frantumano e vengono scagliate nella testa di un uomo, avvelenando e bruciando il suo cervello, mutilando la sua memoria, la sua vista, il suo udito, la sua coscienza.
E termina, nel 1958 con queste parole:
Sì la guerra, la guerra, quanti disastri ha fatto all’umanità, quanti morti ha provocato, quanta gente ha mutilato, quanta altra gente ha inchiodato ad un letto, a quanta gente ha tolta la possibilità di fare del bene. Ma nel prossimo futuro cominceranno i voli nello spazio e in primo luogo i voli sulla luna e sui pianeti vicini, voli che ci daranno maggiori possibilità di fare delle scoperte e di arricchirci di sostanze ed elementi poco diffusi, forse, sulla terra, e che si trovano invece sugli altri pianeti.
Tra questi due pensieri, una vita intera spesa a combattere contro una malattia che, Lev non poteva saperlo, non sarebbe mai potuta migliorare. Trent’anni a cercare di ricostruire, pezzo dopo pezzo, un’identità, un passato, così da riuscire a possedere un presente.
Noi vogliamo parlare di questa lotta, che ostinatamente non può fare a meno di essere ottimista.
E scoprire in essa il tratto costitutivo del nostro essere umani.
Riccardo Fazi